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Confermato il collegamento tra QI e speranza di vita

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I motivi non sono ancora chiari, ma numerosi studi dimostrano che un quoziente d'intelligenza più alto è correlato a una speranza di vita più lunga. Questa correlazione, secondo i risultati delle ricerche di epidemiologia cognitiva, non è pienamente spiegabile con fattori di tipo socioeconomico, mentre sembra certo il legame con la genetica, che tuttavia non basta a chiarirne le ragioni.

Viviamo più a lungo che mai. Secondo un rapporto del 2015 dell'Organizzazione mondiale della sanità,  i giapponesi vivono più a lungo, con un'aspettativa di vita media di 84 anni, mentre gli americani possono aspettarsi di vivere fino a 77 [secondo l'OMS, la vita media degli italiani di entrambi i sessi è di 82,6 anni, NdR]. Tuttavia, è ovvio che alcune persone vivono molto più a lungo di altre. C'è una disparità nella mortalità.

Come si spiega questa disparità? La ricerca epidemiologica conferma quanto suggerisce l'intuizione: questioni di stile di vita. Uno studio pubblicato nel 2012 su “Preventive Medicine” ha seguito oltre 8000 persone per un periodo di 5 anni. Il rischio di morte per qualsiasi causa è stato inferiore del 56 per cento per i non fumatori, del 47 per cento per le persone che facevano esercizio fisico, e del 26 per cento per coloro che avevano una dieta sana.

Ricercatori italiani hanno analizzato le diete degli abitanti della zona dei Monti Sicani in Sicilia, dove vi è una prevalenza notevolmente alta di persone che vivono fino a 100 anni. Oltre a essere fisicamente attivi e avere stretti contatti con i parenti, i centenari intervistati seguivano una dieta mediterranea tradizionale.

Una scoperta più sorprendente è che c'è un forte legame tra mortalità e QI: un'intelligenza superiore alla media implica, in media, una vita più lunga. Questo collegamento è stato ampiamente documentato da Ian Deary e dai suoi colleghi dell'Università di Edimburgo che hanno analizzato i dati dello Scottish Mental Surveys. Nel 1932, il governo scozzese fece somministrare, in uno stesso giorno, un test di intelligenza a quasi tutti i bambini di 11 anni che frequentavano la scuola. Più di sessant'anni dopo, Deary e Lawrence Whalley si attivarono per identificare quali di quei bambini erano ancora vivi a 76 anni, prendendo in considerazione in particolare la città di Aberdeen.


I risultati sono stati sorprendenti: un vantaggio di 15 punti nel quoziente d'intelligenza si era tradotto in un 21 per cento in più  di probabilità di sopravvivenza. Per esempio, rispetto a una persona con un QI di 100 (la media per la popolazione generale), una persona con un QI di 115 aveva il 21 per cento di probabilità in più di essere viva all'età di 76 anni.

Il legame tra QI e la mortalità è stato ora riconfermato, con valori ancora più alti, da 20 studi longitudinali provenienti da tutto il mondo, e ha dato origine al campo dell'epidemiologia cognitiva, che si concentra sulla comprensione del rapporto tra funzioni cognitive e salute. Una scoperta importante venuta da questo nuovo campo è che i fattori socioeconomici non spiegano completamente il rapporto QI-mortalità.

In uno studio concentratosi sulla regione centrale della Scozia, i ricercatori hanno messo in relazione il QI di oltre 900 dei partecipanti allo studio del 1932 con le risposte dei partecipanti a un sondaggio nazionale sulla salute pubblica condotto nei primi anni settanta. Hanno così scoperto che tenendo conto nelle statistiche della classe economica di appartenenza e dello stato di "deprivazione" (una misura che riflette la disoccupazione, il sovraffollamento e altre condizioni di vita sfavorevoli) questi fattori davano conto solo del 30 per cento della correlazione QI-mortalità.

Confermato il collegamento tra QI e speranza di vita
© Nils Hendrik Muller/cultura/Corbis

Questo dato suggerisce che i geni possono contribuire al legame tra QI e una vita lunga. I risultati di un nuovo studio pubblicato da Rosalind Arden e colleghi sulla rivista "International Journal of Epidemiology” forniscono la prima prova di questa ipotesi. Arden e colleghi hanno identificato tre studi sui gemelli (uno dagli Stati Uniti, uno dalla Danimarca, e uno dalla Svezia), in cui sono stati registrati sia il QI sia la mortalità. (Gli studi sui gemelli permettono di distinguere gli effetti dei fattori ambientali e di quelli genetici relativamente a prestazioni come l'intelligenza o alla durata della vita grazie al confronto fra gemelli identici, che condividono il 100 per cento dei loro geni, e gemelli non identici, che in media condividono solo il 50 per cento dei geni.) Successivamente hanno condotto un'analisi statistica per stimare il contributo dei fattori genetici al rapporto QI-lunghezza della vita. I risultati sono stati chiari e coerenti: i geni determinano la maggior parte di quel rapporto.

Rimane ancora poco chiaro che cosa esattamente possa spiegare il legame genetico tra QI e mortalità. Una possibilità è che un QI più alto contribuisca a comportamenti di salute ottimali, come l'esercizio fisico, l'uso della cintura di sicurezza, il non fumare. I dati scozzesi non avevano rilevato alcuna relazione tra QI e l'abitudine al fumo, dato che negli anni trenta e quaranta i rischi per la salute del fumo erano sconosciuti, ma dopo -  coerentemente con questa ipotesi - le persone con più alto quoziente intellettivo avevano maggiori probabilità di smettere di fumare. In alternativa, è possibile che alcuni fattori genetici contribuiscano tanto alla variazione nel QI quanto alla propensione a impegnarsi in questo tipo di comportamenti.

Un'altra possibilità è che il QI sia un indice di integrità fisica, e in particolare dell'efficienza del sistema nervoso. Per verificare questa ipotesi, in uno studio i ricercatori hanno esaminato le relazioni tra quoziente intellettivo, mortalità e prestazioni in un test sui tempi di reazione destinato a misurare l'efficienza di elaborazione delle informazioni del cervello. (Nel test sul tempo di reazione, la persone premevano uno di quattro tasti in risposta all'apparizione di una di quattro cifre che apparivano uno schermo.) I ricercatori hanno scoperto che scorporando il punteggio ottenuto da una persona nel test del tempo di reazione, non c'era più la correlazione tra QI e mortalità. Ossia, il tempo di reazione spiegava il rapporto tra QI e mortalità.

Potenzialmente, questi e altri risultati di epidemiologia cognitiva hanno profonde implicazioni per la salute pubblica. Insieme a fattori come la storia familiare di malattia, il QI potrebbe essere usato in modo proattivo per valutare il rischio delle persone di sviluppare problemi di salute e di morte precoce. Allo stesso tempo, questo potenziale uso dei test di intelligenza solleva alcune questioni etiche.

Come sottolineano i ricercatori che studiano l'intelligenza, il QI non riflette una cosa, ma molte cose. Non include solo quella che si potrebbe considerare l'intelligenza “originaria” - legata a regioni cerebrali come la corteccia prefrontale - ma anche una miriade di fattori di "non-abilità". Per esempio, è dimostrato che le convinzioni di una persona sulla propria capacità di far bene in un test di intelligenza (convinzioni che possono essere legate al gruppo etnico o al genere), possono influire sulle sue prestazioni effettive nel test. A sua volta, essere etichettati come dotati di un "QI basso" oppure di un "alto quoziente d'intelligenza" può avere un impatto sull'autostima di una persona.

Un approccio per affrontare questo problema è quello di sviluppare test di intelligenza che riducano al minimo l'impatto dei fattori di non-abilità sul QI. Un altro è informare il pubblico e i politici sul significato del QI. Il QI prevede alcuni risultati  - come le prestazioni di lavoro, il rendimento scolastico e, guarda caso, la mortalità - meglio di qualsiasi fattore psicologico che noi conosciamo. Allo stesso tempo, il QI non è un destino, è uno dei tanti fattori che predicono questi risultati. Al pari di cose come la personalità, gli interessi e la motivazione.

In ultima analisi, facendo tesoro dei dati forniti dall'epidemiologia cognitiva, la società dovrebbe decidere se i vantaggi dell'uso del QI per predire i risultati in ambito sanitario siano superiori ai costi. In caso affermativo, i test di intelligenza potrebbero un giorno essere usati per ridurre le disuguaglianze sanitarie, e aiutare le persone a vivere una vita più lunga che mai.

Fonte del testo e dell'immagine: http://www.lescienze.it/news/2016/01/01/news/intel...

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Ultima modifica: 01 febbraio, 2016
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